DIAGNOSTICA STRUMENTALE E INTERVENTISTICA
Elettrocardiogramma. (ECG) Registra gli impulsi elettrici delle cellule miocardiache e le riporta su carta. Le cellule malate non sono in grado di generare potenziali elettrici normali e quindi si evidenziano le aree cardiache che hanno problemi. L'ECG convenzionale continua ad essere esame fondamentale nella diagnostica cardiologica sia per quanto concerne l'aritmologia (studi del ritmo cardiaco) che per l'inquadramento diagnostico della cardiopatia ischemica, delle valvulopatie e dell'ipertensione arteriosa. All’ECG basale , cioè esguito sul paziente a riposo disteso sul letto, si affiancano altri tipi di elettrocardiogrammi come lo studio elettrocardiografico sotto sforzo che è indicato nella definizione diagnostica e valutativa della cardiopatia ischemica. La monitorizzazione elettrocardiografica per 24 ore (Holter) che migliorano l'accuratezza diagnostica soprattutto nella cardiopatia ischemica che nello studio delle aritmie. Particolari tecniche di registrazione dell'ECG ad alta definizione sono utili nella stratificazione del rischio dei pazienti colpiti da cardiopatia ischemica.
ECG dinamico secondo Holter. E’ una sorta di elettrocardiogramma continuo per 24 ore, che permette di cogliere eventuali alterazioni elettriche del miocardio anche nel corso della notte. Si applica un piccolo strumento (registratore) alla cintura dell’ammalato collegato con degli elettrodi applicati alla pelle del torace. Il paziente può continuare a svolgere le sue normali attività mentre l’attività elettrica del suo cuore viene registrata su uno speciale rilevatore.
Reveal loop recirder impiantabile
Che cos'è?
Il monitor cardiaco impiantabile (Reveal o loop recorder impiantabile) è un dispositivo impiantabile di piccole dimensioni grande meno di un accendino da tasca (misure esatte: 62 x 19 x 8 mm), che controlla costantemente il ritmo cardiaco e lo memorizza in modo automatico o manuale, tramite un attivatore portatile a uso del paziente. Il monitor cardiaco viene impiantato sottocute, nella porzione superiore del torace, mediante una procedura chirurgica semplice e minimamente invasiva.
A cosa serve?
Il monitor cardiaco impiantabile è una delle opzioni disponibili per determinare la causa di sincopi (svenimenti ) inspiegati o disturbi del ritmo cardiaco (spesso avvertite come palpitazioni) che sono talmente rari da essere difficilmente registrabili. Altri tipi di monitor cardiaci sono applicati esternamente per un periodo variabile da 24 a 48 ore (Holter ECG) , mentre il monitor cardiaco impiantabile è pensato per un utilizzo a lungo termine. Dato che il dispositivo è inserito sottocute, il paziente non dovrà applicare sensori adesivi alla pelle né preoccuparsi di collegare alcun cavo. Il monitor cardiaco impiantabile può essere utilizzato per 3 anni, assicurando così una maggiore possibilità di monitorare l'attività del cuore durante episodi di svenimento poco frequenti. Questo dispositivo aiuta il medico a escludere o a confermare se la perdita di sensi sia dovuta a un'anomalia del ritmo cardiaco.
Come funziona?
Il monitor cardiaco impiantabile è programmato per monitorare continuamente l'attività del cuore sotto forma di elettrocardiogramma (ECG). Quando si verifica un episodio di svenimento, o un'aritmia il paziente o il familiare presente deve posizionare il prima possibile l'attivatore portatile in corrispondenza del monitor cardiaco e premere un pulsante. Questo pulsante attiva il dispositivo che registra i dati relativi all'attività del cuore prima, durante e dopo lo svenimento inspiegato. Il monitor cardiaco impiantabile può anche essere programmato per registrare automaticamente le anomalie del ritmo cardiaco. Se si riscontra che la causa della perdita di sensi è dovuta ad un'anomalia del ritmo cardiaco, il medico può consigliare un'opportuna terapia. Se invece si esclude che all'origine della sincope ci sia questa problematica, può concentrarsi sulle altre possibili cause dei sintomi sperimentati.
Rischi
Ogni intervento chirurgico comporta dei rischi. Poiché il monitor cardiaco viene impiantato sottocute, esiste un lieve rischio di infezione, di sensibilità ai materiali o che il dispositivo si muova o fuoriesca dalla pelle. Il rischio che si verifichi qualcosa di grave è raro. Per qualsiasi dubbio o preoccupazione è importante rivolgersi al proprio medico. Sebbene siano numerosi i soggetti che traggono vantaggio da questo trattamento, i risultati possono variare. Il medico aiuterà a stabilire se si tratta dell'opzione più adatta alla propria condizione.
Studio elettrofisiologico. Il cuore si contrae grazie ad un sistema simile ad un impianto elettrico: i rallentamenti dei battiti del cuore o la comparsa di battiti irregolari possono essere causati da difetti di funzionamento di questo circuito elettrico. Lo studio elettrofisiologico serve a controllare come funziona “l’impianto elettrico del cuore” per trovarne gli eventuali guasti e per risolverne i malfunzionamenti, nel modo migliore. Questo esame non è altro che un particolare elettrocardiogramma che viene registrato all’interno del cuore (endocavitario) o dall’esofago (transesofageo) e che permette di ottenere importanti informazioni che un elettrocardiogramma normale non può dare. . Il transesofageo permette, tramite un sondino che si inserisce dal naso e che posizioneremo all'altezza del cuore restando sempre nell'esofago (procedura un po' fastidiosa ma rapida), di registrare un elettrocardiogramma più dettagliato, più ricco di informazioni per il medico che può dedurre se il battito nasce ed attraversa normalmente le vie elettriche del cuore. Quando questo test non è esauriente o non può essere utilizzato si ricorre allo studio endocavitario, che richiede un'anestesia locale a livello dell'inguine (solitamente sulla gamba destra), dove attraverso la puntura delle vene introdurremo dei sondini che faremo arrivare, grazie alla guida dei raggi x, sino al cuore. A volte tale procedura la si esegue a livello della clavicola. Una volta giunti al cuore si registra in maniera del tutto indolore la sua attività elettrica. L’insieme delle informazioni ottenibile permettono di valutare se una persona presenta aritmie minacciose e , in tal caso, di scegliere le cure migliori per evitare ogni rischio.
Le opzioni terapeutiche potranno andare da:
A Impianto di PMK
B Ablazione di transcatetere di foci o vie anamoale che sostengono l’aritmia.
C Impianto di defibrillatori
D Terapia medica
L’elettrocardiogramma da sforzo (o test ergometrico) è un esame strumentale che consiste nella registrazione dell’elettrocardiogramma durante l’esecuzione di uno sforzo fisico (a differenza dell’ECG basale che viene registrato in condizioni di riposo). In questo modo è possibile esaminare la risposta dell’apparato cardiocircolatorio all’esercizio fisico, in particolare per quanto riguarda frequenza cardiaca, risposta pressoria ed eventuali alterazioni ECG. Durante sforzo fisico infatti, si realizzano condizioni che comportano un incremento delle richieste di lavoro al cuore che potrebbero mettere in evidenza eventuali alterazioni non riscontrabili a riposo. Può essere considerato l’esame strumentale di prima scelta per la diagnosi di cardiopatia ischemica.
Al paziente vengono applicati gli elettrodi (si utilizzano elettrodi adesivi) sul torace e sul dorso. Viene quindi registrato un elettrocardiogramma basale.
Il paziente inizia poi lo sforzo fisico, solitamente pedalando su una cyclette (cicloergometro) oppure camminando su un tappeto rotante (treadmill). Lo sforzo è progressivo e viene incrementato mediante aumento costante della resistenza opposta dai pedali del cicloergometro o della velocità del tappeto rotante. Si inizia da un basso carico di lavoro che viene progressivamente aumentato fino al raggiungimento di un determinato valore di frequenza cardiaca, calcolato dal medico in base al sesso e all’età del paziente. La scelta della entità e della velocità di incremento dello sforzo vengono scelte dal medico nell’ambito di protocolli standardizzati, sulla base delle caratteristiche cliniche del paziente. Durante l’esame l’attività cardiaca viene tenuta costantemente sotto controllo, dal medico e dall’infermiere, attraverso il monitoraggio elettrocardiografico e la rilevazione ad intervalli regolari della pressione arteriosa, mediante sfigmomanometro a bracciale. Durante l’esecuzione dell’esame, molta attenzione viene rivolta ai sintomi che il paziente può avvertire (dolore toracico, capogiri, mancanza di fiato, debolezza eccessiva) e al loro rapporto con le eventuali variazioni dell’elettrocardiogramma e della pressione arteriosa.
La prova ha una durata complessiva di circa 20 minuti. Può essere interrotta dal medico in qualsiasi momento fosse necessario (esistono criteri clinici e strumentali di arresto standardizzati), ma anche su richiesta del paziente. Rispetto all’ECG basale, l’ECG da sforzo offre maggiori informazioni sullo stato di salute del cuore perchè ne aumenta il lavoro, evidenziando eventuali patologie non riscontrabili a riposo.
L’elettrocardiogramma da sforzo costituisce l’indagine strumentale di base nella diagnostica della cardiopatia ischemica:
1 diagnosi di cardiopatia ischemica nel paziente con episodi di dolore toracico sospetti per angina pectoris;
2 valutazione funzionale dei pazienti con cardiopatia ischemica nota (angina stabile, pregresso infarto del miocardio)
3 valutazione dell’efficacia della terapia anti-ischemica;
4 valutazione dopo rivascolarizzazione coronarica (angioplastica, intervento di bypass aortocoronarico); valutazione delle aritmie, in alcuni casi particolari.
L’ECG da sforzo si dice positivo (cioè, patologico) se mette in evidenza segni elettrocardiografici di ischemia (che si manifestano principalmente con un sottoslivellamento del tratto ST). Se durante lo sforzo il paziente accusa dei disturbi (dolore toracico, mancanza di respiro) in assenza alterazioni ECG, il test ergometrico viene considerato “non diagnostico” e può essere indicato un approfondimento diagnostico con altri test (es. scintigrafia miocardia). Se il test da sforzo è sicuramente positivo, può essere indicato iniziare un trattamento farmacologico antiischemico la cui efficacia, oltre che sui sintomi, va valutata con la ripetizione dell’esame a distanza di tempo; se i segni di ischemia sono più gravi, al paziente viene in genere consigliato un esame coronarografico.
Ecocardiografiadopplercolor.L'uso di ultrasuoni ha consentito di visualizzare con accuratezza, dall'esterno le strutture cardiache senza impiego di raggi X. L'ecocardiografia è una metodica non invasiva, ripetibile, eseguibile ovunque in tempi relativamente brevi. Essa si basa sugli ultrasuoni riflessi che vengono inviati verso il cuore e da questo vengono ritrasmessi allo strumento che li ha emessi ottenendo un'immagine simile a quella del cuore "sezionato" secondo proiezioni diverse ed informazioni precise delle strutture cardiache. L'impiego associato del Doppler, che è un'altra metodica ultrasonora che studia il movimento del sangue dentro il cuore, permette di avere, nello stesso tempo, informazioni anche di tipo emodinamico e funzionale. In altri termini con questo mezzo è possibile oggi valutare in tutti i suoi aspetti, anatomici ed emodinamici, una malattia cardiaca. L’ecodoppler cardiaco studia il flusso del sangue attraverso le cavità e le valvole cardiache, dimostrando eventuali trombi, stenosi o insufficienza delle valvole mitrale, tricuspide, aortica e polmonare. L’estrapolazione di dati sulla contrattilità del cuore, a partire dalla velocità del sangue, aggiunge informazioni circa eventuali malattie cardiache (scompenso, insufficienza, infarto, difetti del setto interatriale o interventricolare).
Ecodoppler vascolare. La flussimetria doppler misura la direzione e la velocità del flusso del sangue entro arterie e vene, risultando utile nel sospetto di malattie delle prime (stenosi, trombosi, embolie, aneurismi, malattia di Raynaud, morbo di Bürger, fistole arterovenose, angiomi) o delle seconde (trombosi, incontinenza valvolare, varici). L’ecodoppler aggiunge l’immagine del vaso studiato, con eventuali placche aterosclerotiche delle arterie, calcificazioni, trombi adesi alla parete interna.
Holter della pressione arteriosa o monitoraggio dinamico della pressione arteriosa (ABPM) è una tecnica incruenta che fornisce informazioni utili ed aggiuntive per la valutazione del paziente iperteso rispetto all’approccio clinico tradizionale della misurazione isolata. L’ABPM consente la misurazione della pressione arteriosa (P.A.) e della frequenza cardiaca (F.C.) durante le ore diurne e le ore notturne, durante lo svolgimento delle attività lavorative e durante il sonno e non determina reazione d’allarme significativa a differenza della rilevazione pressoria tradizionale. Gli apparecchi in commercio utilizzano metodi di misurazione pressoria oscillometrica, microfonica o entrambi. I dati ottenuti sono elaborati da programmi statistici, in modo da ottenere valori medi della P.A. e della F.C. delle 24 ore, valori medi per ogni ora, valori medi diurni e notturni. Di solito si programma una misurazione ogni quindici minuti durante il giorno e una misurazione ogni venti minuti durante la notte. E’ fondamentale che il paziente svolga le sue normali attività durante il monitoraggio e che registri su un diario alcuni parametri quali ora del risveglio, ora del riposo, ora dell’assunzione della terapia, comparsa di eventuali disturbi da segnalare.
Scintigrafia miocardia da sforzo e riposo. È una metodica diagnostica incruenta che consente di valutare la perfusione del muscolo cardiaco ed in alcuni casi la sua funzione. Ne esistono diversi tipi ma tutti sono caratterizzate fondamentalmente dalla necessità di iniettare una sostanza particolare detta “tracciante radioattivo” e dalla misurazione di come questo sia captato dal cuore. Può essere eseguita a riposo e dopo uno sforzo. Nella maggior parte dei casi è necessario eseguirla sia a riposo che dopo sforzo. Nella modalità più comune al paziente viene fatto compiere uno sforzo pedalando su una bicicletta. Nel momento in cui lo sforzo è massimo si inietta il tracciante radioattivo che verrà catturato molto bene nelle regioni ben irrorate del cuore e meno bene nelle regioni mal irrorate. Nelle regioni in cui è avvenuto un infarto il tracciante non verrà catturato per nulla. Dopo un certo periodo di tempo (in genere circa 4 ore), mentre il paziente è a riposo si esegue una seconda misurazione della captazione del tracciante da parte del cuore. Se esistono differenze tra le due misurazioni si può diagnosticare una ischemia da sforzo che apparirà come una zona che non cattura il tracciante dopo lo sforzo mentre lo cattura in condizioni di riposo. Alcuni pazienti non sono in grado di compiere uno sforzo. In essi anziché utilizzare l’attività fisica per identificare la presenza della malattia coronarica si può infondere prima dell’esame un farmaco che fa lavorare il cuore come se fosse sottoposto ad uno sforzo o che modifica le modalità di perfusione del cuore.
In genere per confrontare le immagini ottenute dopo lo sforzo con quelle ottenute a riposo è necessario che trascorra un congruo periodo di tempo, circa 4 ore. In alcuni casi selezionati per ottenere risposta a quesiti specifici è possibile dover ripetere l’infusione il giorno successivo.
Le quantità di sostanza radioattiva iniettata è molto piccola per cui non è pericolosa. In ogni caso il minimo rischio presente è giustificato dalle importanti informazioni che possono essere ottenute con questo esame:
A Ricerca di ischemia
B Ricerca di aree infartuati
C Valutazione della funzione globale o segmentaria del cuore.
La risonanza magnetica cardiaca ( RMN) , viene usata per eseguire valutazioni morfologiche delle anomalie cardiache e dei grandi vasi sanguigni. L’ampio campo visivo, il numero illimitato di piani di scansione e il buon contrasto di tessuto permettono di misurare anche la funzione sistolica e diastolica ventricolare destra e sinistra. E tramite un modello geometrico è possibile stimare la massa e il volume dell’organo.
Quindi di può studiare forma, dimensioni e funzionamento dell’organo.Tale metodica non implica l’utilizzo di radiazioni ionizzanti è quindi non espone a rischi il paziente. Per i problemi legati alle valvole cardiache si ricorre principalmente all’ecocardiografia o alla cateterizzazione (che comporta l’introduzione di cateteri nei vasi e nelle cavità), tuttavia la risonanza magnetica sta conquistando credito come metodo di acquisizione di immagini in modo incruento. Si ricorre, come standard, a queste due tecniche anche nella gestione delle malattie cardiache congenite per definire la morfologia e, mediante sonde, le alterazioni dell’emodinamica, cioè del flusso sanguigno. Ma ancora una volta la risonanza magnetica può subentrare per valutare la morfologia cardiaca, le connessioni tra vene e atrio e le anomalie extracardiache. Nelle cardiomiopatie ( cardiopatia dilatativa, ipertrofica, amiolodosi ecc), in particolare, la tecnica permette di distinguere l’ispessimento del pericardio, che causa pericardite costrittiva, che potrebbe confondersi con cardiomiopatie restrittive.La risonanza magnetica sta conquistando spazio anche nell’oncologia cardiaca, in cui già in caso di mixoma (raro tumore che colpisce il cuore) e tumori valvolari l’ecocardiografia risulta inadeguata. In altre forme tumorali, per esempio il lipoma, permette di definire i margini della lesione circondata da tessuto adiposo.Va ricordato, infine, che questa tecnica è molto efficace nella valutazione delle malattie cardiache ischemiche non soltanto per la definizione dell’ anatomia coronarica ma anche per determinare la morfologia ventricolare, la perfusione del miocardio e il flusso coronarico.
TAC cardiaca. Oltre a fornire immagini delle coronarie, la TAC cardiaca multi-detector (CCT) valuta accuratamente dimensioni e funzionalità dei ventricoli. Nei pazienti in cui è necessaria una valutazione cardiaca e l'inadeguatezza della finestra acustica potrebbe limitare l'accuratezza dell'ecocardiografia, o altre controindicazioni potrebbero precludere l'uso della RM cardiaca (CRM), la CCT garantisce una quantificazione adeguata.
La valutazione delle dimensioni e della funzionalità dei ventricoli completa la definizione delle lesioni arteriosclerotiche nei pazienti con coronaropatie, sia per la determinazione della significatività fisiologica delle stenosi che per la stratificazione del rischio. La possibilità di effettuare queste operazioni in modo non invasivo con un solo test costituisce un grande vantaggio della CCT sulle altre modalità d'immagine. E' comunque improbabile che questo esame si effettui soltanto per determinare dimensioni e funzionalità dei ventricoli: queste misurazioni forniscono informazioni complementari per quanto riguarda l'anatomia vascolare che può essere delineata in modo non invasivo ed ad alta definizione con la CCT. Avere a disposizione informazioni sia anatomiche che funzionali può essere molto utile nell'assistenza ai pazienti con malattie cardiovascolari. (Am Heart J 2006; 151: 736-44). Le TAC attualmente in uso sono a 16 slice e hanno un basso potere risolutivo soprattutto per la visulalizzazione delle coronarie. Molto di più si può ottenere con le ultime macchine a 64 e 256 slice che purtroppo sono ancora poco diffuse. La TAC con mezzo di contrasto è estremamente inmportatne per la valutazione delle stenosi, aneurismi e decorso di grosi vasi ( aorta, carotidi, ecc.):
Coronarografia. L’esame serve per visualizzare le arterie che nutrono il cuore: le coronarie. Tale esame richiede il ricovero in ospedale per 1-2 gg.
E’ un esame che attraverso l’introduzione in un’arteria del braccio o della gamba di un “tubicino” di plastica chiamato catetere, la cui estremità viene posta di fronte all’origine delle coronarie, permette, con l’iniezione di un mezzo di contrasto, la visualizzazione con i raggi X del lume delle coronarie e le eventuali ostruzioni o restringimenti. Tali immagini vengono registrate e immagazzinate su CD, videocassetta o pellicola. La coronarografia è indicata nei pazienti con sospetta malattia delle coronarie, soggetti che hanno già manifestato malattie coronariche quali angina o infarto miocardio (nei quali si potranno dimostrare occlusioni e stenosi più o meno significative delle stesse arterie coronariche), ma anche soggetti che hanno manifestato malattie del muscolo cardiaco o delle valvole cardiache per i quali sia necessario conoscere il circolo coronarico. Viene effettuata in condizioni di sterilità nel Laboratorio di Emodinamica che contiene un elevato numero di apparecchiature quali macchine radiologiche, monitors, sistemi destinati al monitoraggio della pressione e dell’elettrocardiogramma e alla visione delle immagini del cuore acquisite durante l’esame stesso. Durante l’esame le verranno applicati degli elettrodi sul torace per il monitoraggio dell’elettrocardiogramma. Il punto di accesso radiale, brachiale o più frequentemente femorale dopo essere stato rasato, verrà disinfettato con una soluzione antisettica per prevenire le infezioni, quindi la maggior parte del corpo verrà coperta con un telo sterile. L’esame inizia con un’anestesia locale: la coronarografia è un esame indolore. Successivamente in tale sede verranno introdotti i cateteri che permetteranno di visualizzare la coronaria sinistra, la coronaria destra e il ventricolo sinistro; permettendo la visualizzazione di eventuali restringimenti od occlusioni dei vasi o difetti della cinesi del ventricolo. L’esame necessita della collaborazione del paziente cui il medico potrà chiedere di eseguire profondi respiri o trattenere il fiato per qualche secondo. La durata dell’esame è in genere compresa tra i 20-30 minuti. Quando l’esame è terminato il catetere verrà ritirato, si procederà quindi alla compressione che consiste nell’esercitare per 10-15 minuti una forte pressione con le dita a monte della sede di iniezione. Terminata la compressione manuale verrà mantenuta per 3 ore una compressione con un sacchetto di sabbia o una fasciatura, nelle 12 ore successive, se è stato utilizzato l’accesso femorale, il paziente dovrà stare a letto. Attualmente esistono sistemi di chiusura del punto di inserzione che permettono la mobilizzazione già poche ore dopo la procedura. Dopo l’esame le verrà consigliato di bere acqua abbondantemente al fine di eliminare rapidamente il mezzo di contrasto
L’esecuzione della coronarografia è gravato in una piccola percentuale di casi dal rischio di complicanze. Alcune complicanze “prevedibili” sono legate al tipo di esame. Si possono verificare ematomi locali, emorragie, trombosi. Complicanze quali la dissezione o la perforazione di un’arteria o del cuore sono molto rare (nell’insieme lo 0.57%). Il mezzo di contrasto può dare reazioni allergiche. Complicanze infettive sono rare ma possibili. Le complicanze più gravi sono legate più alla gravità della malattia di base che all’esame. La mortalità è inferiore allo 0.2%. L’incidenza di infarto miocardio e di accidenti cerebrovascolari peri-procedurali è dello 0.3%.
Verificato lo stato delle coronarie il medico potrà decidere quale sia il trattamento migliore tra i tre possibili:
1 terapia medica
2 dilatazione della o delle stenosi attraverso Angioplastica coronarica transluminare percutanea
3 rivascolarizzazione miocardica chirurgica tramite by-pass aorto-coronarico
Interventistica
Angioplastica Il suo nome per esteso è Angioplastica Coronarica Transluminale Percutanea o PTCA e consiste nella dilatazione meccanica, senza un vero e proprio intervento chirurgico, delle arterie coronarie. Queste sono i vasi che portano ossigeno e nutrimento al miocardio, cioè al tessuto muscolare di cui è fatto il cuore. E’ comunemente detta angioplastica con palloncino, perché un palloncino gonfiabile è lo strumento che viene usato per riaprire i vasi parzialmente o totalmente ostruiti dalle placche aterosclerotiche.
By Pass Aorto-coronarico. L'intervento consiste in un'incisione della parete toracica attraverso lo sterno che consente al cardiochirurgo di accedere al cuore e all'aorta. Il paziente è collegato a un circuito per la circolazione extracorporea comprendente una pompa, un ossigenatore e uno scambiatore di calore.Mediante questo circuito il sangue venoso è drenato, ossigenato e ripompato nell'aorta mantenendo in vita il paziente durante l'intervento sul cuore. L'infusione nelle coronarie di una speciale soluzione determina l'arresto delle pulsazioni. Il chirurgo effettua una piccola incisione sulla coronaria a valle del punto d'ostruzione ed esegue il by-pass in modo tale che il cuore sia nuovamente irrorato dal sangue e riprenda a battere. A quel punto la circolazione extracorporea è interrotta e l'incisione cutanea richiusa. Il by-pass consiste nella sostituzione del tratto di coronaria ostruito con l'innesto di un segmento di vaso sanguigno che aggira l'ostruzione. Per l'innesto è possibile utilizzare sia segmenti di arterie sia di vene. Inizialmente i by-pass erano eseguiti con l’innesto di un segmento di vena safena, prelevata dalla gamba del paziente, sull'arteria coronaria. L'altra estremità del segmento di vena era collegata con l'aorta. Oggi si preferisce utilizzare allo stesso scopo un'arteria che decorre sulla parete toracica, l'arteria toracica interna detta anche arteria mammaria, oppure l’arteria radiale con risultati a distanza nettamente migliori.
Il trattamento mini-invasivo con "La denervazione renale"
Perchè è importante trattare l'ipertensione arteriosa?
E' noto che l'ipertensione arteriosa si associa ad un aumentato rischio di patologie cardiache (infarto, scompenso cardiaco), renali (insufficienza renale fino alla dialisi), cerebrali (ictus) e vascolari (claudicatio). Un aumento cronico di 20mmHg dei valori pressori rispetto ai valori ottimali raddoppia la mortalità cardiovascolare. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità l'ipertensione è la più frequente causa di morte nel mondo.
Cos'è l'ipertensione resistente ai farmaci?
Per ipertensione arteriosa resistente si intende una pressione alta (>160mmHg, oppure >150mmHg nei pazienti con diabete mellito tipo II) che non risponde a una terapia di almeno tre farmaci (fra cui un diuretico), assunta regolarmente per settimane o mesi. E' importante verificare che l'ipertensione non sia secondaria ad altre patologie, come ipertiroidismo o irrigidimento delle arterie renali. Se i dati clinico-strumentali confermano la presenza di un ipertensione arteriosa resistente ai farmaci per questi Pazienti esiste una nuova possibilità terapeutica ovvero un trattamento non farmacologico come la denervazione renale.
Cos'è la denervazione del simpatico renale?
E' noto il legame tra le fibre nervose del sistema simpatico presenti nel rene e la pressione. Già studi di 30 anni fa dimostrarono infatti la centralità del rene nello sviluppo dello stato ipertensivo attraverso una molteplicità di meccanismi. Uno di questi è rappresentato dall'attività Sistema Nervoso Simpatico (SNS),le cui fibre giungono al rene correndo lungo le pareti delle arterie renali. Attraverso queste fibre, il sistema simpatico controlla gli stimoli che dal cervello arrivano al rene con effetti sulla pressione. Nei casi di ipertensione arteriosa si verifica un'ipereccitazione del sistema simpatico.
La denervazione renale è un intervento mini-invasivo, a basso rischio di complicanze che si propone di ridurre questa iperattività, e quindi l'ipertensione, andando ad interrompere a livello delle pareti delle arterie renali le connessioni con il Sistema Nervoso Centarale.
Come si esegue la denervazione del simpatico renale?
Mediante la puntura dell'arteria femorale all'inguine, il Radiologo Interventista accede al sistema vascolare arterioso del Paziente. Quindi attraverso piccoli tubicini e guide dedicate raggiunge le arterie renali. Viene poi introdotto il catetere dedicato ad eseguire la denervazione (Symplicity Ardian lnc, Palo Alto, CA, USA); questo catetere viene messo a contatto con la parete delle arterie renali in più punti. Di norma si eseguono da 4 a 8 ablazioni con RF (radiofrequenza), in base alle caratteristiche anatomiche dell'arteria. Al fine di poter correttamente visualizzare le strutture anatomiche vascolari è necessaria la somministrazione di mezzo di contrasto iodato. Al termine della procedura viene attuata una semplice compressione manuale dell'arteria all'inguine (sede dell'accesso) per circa 10 minuti, quindi il Paziente viene medicato con un apposito bendaggio compressivo da tenere per 12-24 ore.
Per quali pazienti è indacata la denervazione del simpatico renale?
E' indacata per i pazienti con ipertensione resistente ai farmaci.
Prima del trattamento è necessario essere certi che si tratti di ipertensione resistente ai farmaci escludendo i casi di ipertensione secondaria ad altre patologie. Attualmente inoltre sono esclusi dal trattamento i pazienti affetti da diabete mellito di tipo I ("diabete giovanile"), insufficienza renale cronica avanzata (Clearance creatinina < 45ml/min) o che abbiano subito interventi alle arterie renali (stent) oppure con calcificazioni significative di queste ultime.
Per queste ragioni i pazienti dovranno sottoporsi ad alcuni esami specifici prima di essere candidati alla procedura di denervazione renale. In particolare è richiesto un esame Angio-TC delle arterie renali per escludere anomalie anatomiche vascolari (arterie accessorie; calcificazioni vascolari di parete) e cause vascolari di Ipertensione (stenosi arteria renale).
Obiettivi del trattamento di denervazione renale
La denervazione renale ha come scopo la riduzione e/o la stabiliazzazione dei valori pressori. Questo si associa indirettamete alla riduzione del rischio cardiovascolare, cerebrovascolare e renale legato allo stato ipertensivo. Lo studio multicentrico, prospettico, randomizzato Symplicity HTN 2 (parte di un programma di studi ancora in corso), condotto su pazienti con ipertensione resistente e pubblicato nel 2010 su Lancet, ha dimostrato che a seguito di questa procedura si possono ottenere riduzioni medie della pressione arteriosa nell'ordine di 32 e 12 mmHg a 6 mesi di follow up. I dati finora raccolti inoltre mostrano una sostanziale assenza di effetti indesiderati.
Sebbene al momento l'utilizzo della denervazione sia limitato alle forme più gravi e resistenti di ipertensione, non si può escludere che con il crescere dell'esperienza e di ulteriori risultati positivi, questa tecnica possa trovare applicazione anche per altre patologie che prevedono un'iperattività del sistema nervoso, come il diabete o le malattie renali croniche.